Ma questa percezione deve cambiare, deve evolversi, perché se mi rispondesse così a vent’anni saremmo in presenza di un segnale grave, un segnale che insieme ad altri potrebbe far venire anche cattivi pensieri, tipo psicosi o altro.
Una volta si diceva che per educare bene un bambino bisogna iniziare da quando nasce suo nonno; oggi si dice che per fare una buona psicosi ci vogliono almeno tre generazioni, lo dicono le scuole di terapia. Quindi quando queste percezioni di sé non percorrono i passaggi evolutivi sani, rischiano di mantenere queste deformazioni.

Il bambino nel momento in cui entra nella fase del no è come se comunicasse, segnalasse, che lui si sta percependo diverso dalla mamma e dal papà e da tutto quello che ha davanti e questo è molto importante,  perché se mi percepisco diverso: «Mi percepisco un “io” diverso da te, mamma», e dopo un po’, quando questo l’ho capito, entro in un’altra fase dell’età: la fase dell’Edipo. È il bimbo che dice: «Mamma, vero che mi aspetti quando divento grande, e ci sposiamo?», e va bene perché il bambino comincia a scoprirsi diverso dalla mamma, comincia a osservare il comportamento del papà, a identificarsi un pochino nel papà, e quindi è una percezione di sé fondamentale.
Quindi la fase del no è molto buona nello sviluppo del bambino purché non si ripeta in altra modalità nell’adolescenza, dove l’età della trasgressione, l’età del protagonismo sociale, cambia la propria vita, ma questa è un’altra storia.(tratto dalla relazione Le parole più usate nelle relazioni intra-familiari: sono sempre utili? del 26 aprile 2017, del Prof. Flavio Crestanello, psicologo e psicoterapeuta, presso l'Associazione di volontariato Chicercatrova - Torino, C.so Peschiera, 192/a).